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Mille novecento ventisette. Si intravedeva che tubercolosi, malaria, colera, e febbre tifoide sarebbero -da lì a poco- state finalmente sconfitte. Si scriveva tramvia anziché tranvia, alcool invece di alcol e i batteri scoperti poco prima venivano chiamati bacilli. In America, tempo della Volstead Act che, effettiva sin dal 28 ottobre 1919, vietava il consumo di bevande alcoliche. Intanto in Italia, erano tempi di fascismo che, come altrettanti regimi nazionalisti, trovano nell’igienismo una narrativa di supporto alla valorizzazione del movimento nazionale. 

Il dibattito sull'igiene si sviluppa in Europa verso la fine del Settecento e in Italia la Società d'Igiene nasce nel 1879 per iniziativa del comitato milanese dell'Associazione Medica Italiana. Nel 1887 viene creata la Direzione di Sanità Pubblica presso il Ministero dell'interno, e l’anno successivo viene varata la legge sull'igiene e la sanità pubblica.

Nel 1922 il movimento igienista si ritrova rinvigorito per via della creazione dell’Associazione Italiana d’Igiene e profondamente trasformato dalla recente esperienza bellica. In questo contesto l’Azienda Tranviaria Municipale decise di porre la massima attenzione all’aspetto dell’igiene del personale tranviario sia nell’ambito lavorativo che privato e familiare (che all’epoca si scriveva famigliare).

Tra i ricordi ai tranvieri caduti nella Grande Guerra, le ordini del giorno e gli atti encomiabili dei propri dipendenti; vi sono numerosi articoli della rivista ATM che intendono innalzare le conoscenze igienistiche del personale tranviario, e al contempo, divulgare e consolidare certe buone pratiche e combattere l’alcolismo.

Non è quindi inutile richiamare ancora una volta l’attenzione dei nostri agenti, disimpegnati un servizio che li pone a continuo contatto col pubblico -si legge su un articolo del 1927- a voler curare la massima proprietà della persona e della divisa…” Illustrano l’articolo due fotografie dello stesso tranviere: da una parte il dipendente con l’aspetto trascurato e visibilmente ubriaco e dall’altra come dovrebbe porsi il buon tranviere, o meglio dire, come l’azienda riteneva dovesse essere l’immagine dei propri dipendenti.

Onde evitare una eventuale scia di contestazioni e di critiche, si aggiunge che “pur sapendo come nessuno fra i suoi agenti è così trascurato nella divisa e nella persona (e del resto non sarebbe ammesso in servizio) da essere paragonabile, a quello ritrattato nella prima figura, ha voluto, pubblicando queste due fotografie, dimostrare in modo evidente quale diverso aspetto può assumere lo stesso agente a seconda della cura che pone nella tenuta e nella divisa.”

L’importanza della cura della divisa viene messo in evidenza sostenendo che “anche se non è più nuova, ma pulita,  ben tenuta, e ben portata, conferisce ovviamente un aspetto ben più decoroso di una divisa nuova, indossata con trascuratezza, e il pubblico stesso è indotto ad una maggior considerazione e stima verso chi la porta.”

In effetti, essendo il tranviere un pubblico ufficiale non solo aveva i benefici che la categoria comporta ma anche gli obblighi che di essa scaturiscono quale presentarsi al pubblico avendo cura della propria persona.

"Orbene, come il sangue circola per l’impulso impressagli dal cuore, una parte delle vene che servono alla circolazione sono i servizi pubblici: tutti questi servizi cioè che il progresso, la civiltà, il ritmo sempre più rapido della vita hanno reso necessario per tutti. In primissima linea, il servizio tranviario. Non è possibile oggi immaginare una città ricca di vita e vibrante  di lavori senza i tramways. Le grandi città sono oggi così estese e le distanze così notevoli che il servizio tranviario è più che un bisogno: è una necessità, un elemento indispensabile alla vita cittadina,” spiega Federico Cornaro in un suo articolo facendo leva su cosa significa essere un pubblico ufficiale e le implicanze che comporta essere un impiegato dello stato, un agente tranviario.

Se il servizio tranviario è così una necessità, è logico e naturale che lo Stato abbia considerato questo con una cura speciale: quella cioè che ogni governo rivolge a tutti i servizi chiamati a mantenere in piena vigoria ed in tutta efficienza il ritmo della vita nazionale.” E prosegue in una considerazione paternalista che più che ai tranvieri dell’epoca sembra rivolta ai loro bambini: “Ecco perché, a poco a poco, pure senza leggi speciali (come per le Ferrovie dello Stato) il diritto italiano ha conferito la qualifica di pubblici ufficiali agli agenti tranviari.”

Il pubblico ufficiale diviene quindi una persona che, nell’esercizio delle sue funzioni, acquista un’importanza notevole tanto singola quanto collettiva, la quale è tutelata da speciali disposizioni di legge. In modo schietto e molto efficace, Cornaro riesce dalle righe del suo articolo ad elevare l’onore che comporta il ruolo di agente tranviario per chi lo riveste mentre fornisce un inquadramento legale conforme ai regolamenti del regime dell’epoca. Tuttavia la strada non era sempre in discesa per gli agenti tranviari, in quanto pubblici ufficiali avevano l’onere di certi doveri, spesso ingrati da compiere:  “L’obbligo che gli è imposto di far osservare tutto il complesso di norme e di regole, di ordini e di disposizioni emanate dagli organi competenti per assicurare, nei limiti del possibile, la perfezione del servizio, gli crea, ad ogni momento, resistenza, proteste, recriminazioni -spiega Cornaro- tutto il repertorio cioè della numerosa falange dei passeggeri incorreggibilmente molesti, sciocchi, ignoranti, violenti -che dir di più?- che par creata a posta per mettere alla proba la pazienza di Giobbe. L’esser pubblico ufficiale richiede un continuo e costante controllo di se stessi, una calma serena, un senso elevato e continuo del nostro dovere.”


La Crociata contro i bacilli

Ed in veste di pubblico ufficiale con l'obbligo di assicurare -nella misura del possibile- la perfezione del servizio,  i tranvieri degli anni ’20 potevano trovare nella rivista ATM tutte le informazioni necessarie in materia d’igiene secondo i concetti di quegli anni. Spettava loro essere in grado di acquisire e far rispettare le buone prassi igieniche secondo i precetti del tempo.

Per quanto Louis Pasteur ed Edward Jenner abbiano sviluppato i primi vaccini per proteggere dalle infezioni virali, non sapevano però che esistessero i virus. Questi furono scoperti a inizio del secolo XX perciò trattandosi di informazioni nuove e relative all’ambito scientifico, bisognava darle a conoscere al pubblico.

E toccò al Prof. Dott. Comm. Francesco Abba, allora Capo dell’Ufficio Municipale d’Igiene, il compito di aumentare le competenze in materia di batteri in modo che i tranvieri potessero, fatto tesoro delle tante e dettagliate informazioni ricevute, poterle estendere all’ambito familiare e lavorativo facendole rispettare a colleghi e passeggeri.

Forse ispirato dallo scrittore e drammaturgo Antón Chejov, di chi si dice raccontasse delle storie ai suoi pazienti bambini mentre esercitava la professione di medico, anche il Capo dell’Ufficio Municipale d’Igiene di Torino volle divulgare in modo chiaro i concetti più basilari dell’igiene. E per farlo scelse un modo estremamente originale avvicinando un discorso di nicchia, come quello relativo ai bacilli, al piano tranviario.

Un suo articolo consiste nel richiamo che fa un passeggero a bordo di un tram ad un “giovinotto elegante” il quale “volendo far fermare la carrozza per scendere, applicò la punta del suo bastoncino sul pomello della suoneria, compresse e suonò.” Alla vista di tan abominevole gesto, uno dei passeggeri gli fece notare come alcuni minuti dopo lui avrebbe dovuto poggiare il dito dove il giovinotto aveva prima posto il proprio bastone il quale -avendo toccato la terra- sarebbe stato presumibilmente “sporco, se non infetto di qualche sputo di tisico e con relativi bacilli.” A questo punto il giovinotto guardò al suo compagno di viaggio e annuì dicendo: “Lei ha ragione,” e prendendo il suo fazzoletto premette nuovamente il pomello per poi scendere dalla vettura la quale si era, nel frattempo, fermata.

Ora che ha fatto trenta, faccia trentuno -urlò il passeggero- non usi più quel fazzoletto prima di darlo a lavare, poiché potrebbe lasciarle sul naso i bacilli che lei ha esportato dal pomello!”

Intanto era sopraggiunto il fattorino il quale, incuriosito dal passeggero igienista si avvicinò e gli chiese se mai avesse visto i bacilli. Ci volle solo questa domanda innocente per far sì che il passeggero iniziasse un vero e proprio trattato sui bacilli comprensivo di definizione, classifica e impatto di questi nella salute di persone e animali.

Dopo la tale esauriente lezione il tranviere si perse, tra un biglietto e l’altro, in diverse considerazioni. Sopraggiunsero i ricordi sul caso narrato da Edmondo De Amicis nel suo libro La carrozza di tutti, in cui dei genitori portarono la propria bambina appena guarita dalla difterite a fare un giro in tram a modo di viaggio di convalescenza. E quindi il fattorino pensò che “se tutti portassero i loro bimbi convalescenti a prendere aria sulle carrozze tranviarie, non si farebbe che diffondere i malanni” il che servì all’articolista per rinforzare -avvalendosi dei pensieri del fattorino- quanto fosse giusta la proibizione del Municipio di accogliere nelle carrozze malati di qualsiasi genere, specialmente “quelli infettivi e diretti all’Ospedale Amedeo di Savoja, perché capaci, senza volerlo, di diffondere i famosi bacilli che sovente hanno in bocca, sulla pelle, e che quindi si possono spargere tutt’attorno.

Il povero fattorino rimase sommerso nel pensiero di tutte quelle malattie alle quali erano esposti lui e i suoi colleghi e la sua mente si soffermò sull’immagine dalla spugnetta che veniva loro fornita per inumidirsi le dita e agevolare, in questo modo, la distribuzione dei biglietti. Purtroppo non pochi colleghi si resistevano ad usare le spugnette preferendo inumidirsi le dita con la propria saliva mettendo così a rischio non solo la salute dei passeggeri ma anche quella del lavoratore tranviario stesso che portava poi in bocca le dita che “per necessità di servizio erano costrette a maneggiare il denaro, specialmente di carta, unto, bisunto, sporco e ricco di ogni sorta di bacilli.”

E come la speranza è l’ultima a perdersi, il nostro fattorino “si lodò mentalmente, perché, rientrando a casa, mai si sedette a tavola con la sua famigliola, senza prima essersi lavato abbondantemente mani e faccia.” Quindi il fattorino, esempio di caparbietà, si promise di iniziare una sorta di “crociata” estendendo le conoscenze scientifiche appena acquisite a colleghi e passeggeri nonché richiamando l'attenzione sulle più basilari norme igieniche qualora fosse necessario.

Alcuni giorni dopo gli fu consegnato un pacco arrivato in azienda per il “Tranviere n. 17”. Era un omaggio dal passeggero igienista: un volume del libro Lezioni di Igiene Popolare in ricordo della conversazione sostenuta due giorni prima sui bacilli della tubercolosi.


L’abominevole nemico

Vi era un nemico ancora più temuto dai bacilli. Considerato quale un mostro dalle mille teste l'alcoolismo fu negli anni del fascismo oggetto di ripetuti sforzi da parte dell’Azienda Tranviaria Municipale, sempre avvalendosi dalle pagine della rivista ATM. Si susseguono articoli, fotografie e pie di pagina tendenti ad informare, e creare consapevolezza e soprattutto a combattere l’alcolismo quali scudi, lance e catapulte che si schierano contro il nemico.

Laddove per motivi di impaginazione rimaneva qualche spazio vuoto, era subito riempito con dei riquadri con dei testi inerenti il problema dell’alcolismo del tipo: "L'ubriaco sta all’ultimo gradino della società, non ispira compassione; da tutti è deriso, disprezzato! L’ubriaco fa ribrezzo”. Oppure: “L’alcoolismo è il più potente propagatore della tubercolosi”.

Il Direttore del Real Manicomio di Torino, Prof. Dott. Vitige Tirelli, ebbe il compito di approfondire gli effetti fisici e morali provocati dell’alcolismo invitando tutti gli operatori del servizio tranviario a prenderne atto.

E lo fece attivando quello che ha di più caro qualsiasi genitore al mondo: il benessere dei propri figli. “L’alcoolismo dei genitori è sempre una colpa…anche se dipende da ignoranza è una colpa,” sentenzia il Prof. Tirelli nel 1928.

Meno di cento anni più tardi, l’alcolismo verrà definito dal Dizionario Treccani come “malattia determinata dall’assunzione di grandi quantità di alcol” e non più come una colpa. Quindi considerato una malattia cronica, recidivante e potenzialmente mortale quale disturbo caratterizzato dall'incapacità, da parte del bevitore, di astenersi dal consumare alcolici.

Lontano ancora di essere considerato come una dipendenza era giudicato un atto voluto, una colpa che si ribalta sulla propria prole. “La  sola ignoranza sincera del pubblico – e che, quindi, va corretta. È che il vino rinforzi e faccia digerire.” Sostiene il Dott. Tirelli nel suo articolo facendo riferimento all’opinione, assai diffusa all’epoca anche tra le classi cosiddette colte e che, a sua avviso faceva scaturire la maggior parte dei danni derivati dall'alcol: “con questo passaporto falso si fa passare la peggior merce di contrabbando," riassume il Direttore del Real Manicomio.

Nell’ottica di fornire un esempio pratico il Dott. Vitige Tirelli invita i lettori a immergere un pezzo di carne nell’alcol come fanno nei musei per conservare i pezzi archeologici e vedere cosa succede. Il pezzo di carne naturalmente diventerà duro perché l’alcol sottrae l’acqua alla carne il che dà per terra con la tesi che il vino aiuta alla digestione. E quindi paragona questo esperimento a ciò che accadde allo stomaco di un alcolista.

Certo che ognuno è libero di fare con il proprio corpo ciò che vuole, persino il Dott. Tirelli è d’accordo con questo, tuttavia si confessa preoccupato per quei genitori che diventano “omicidi della propria prole. E questo è un delitto sociale impunito: ma un vero delitto” sostiene il dottore ed elenca una serie di conseguenze trainate dall’uso di alcol quali l’imbecillità, epilessia, criminalità, tubercolosi, figli degenerati. E aggiunge: “Mi auguro che i tranvieri siano tutta gente che non ha bisogno delle considerazioni che ho fatto qui.”

Lontano ancora del bere con moderazione dei nostri giorni, la campagna dell’epoca non ignora che il rimedio a tale danno non è la repressione bensì la prevenzione. Per questo motivo sostiene che bisogna insegnare a non bere: “Il nostro gran Duce, nella nuova legge sulla P.S. ha stabilito che, negli spacci pubblici, non si debba vender vino, né alcoolici ai ragazzi inferiori ai 16 anni.” Ed esorta ai tranviari ad iniziare dalla propria casa e dalla propria famiglia.

L’alcolismo quindi era concepito come una questione di educazione morale, di disciplina civile e di cultura sociale, volontà ferma e igiene familiare. “Adesso l’Italia si rinnova dappertutto, -sosteneva il Dott. facendo inequivocabilmente riferimento al regime fascita- rinnoviamoci anche in questo!

E l’Italia, che, in cinquant’anni di vita, ha fatto tanta strada da sbalordire noi stessi, saprà vincere anche questo cimento: se i suoi figli saranno degni. E, per essere degni, dobbiamo saperci sbarazzare dell’odioso fardello dell’alcoolismo. Allora solo questa colpa dei padri, non ricadrà più sul capo dei figli,” sentenzia con fermezza il Direttore.

Il taglio è senza ombra di dubbio quello di allora perciò molti concetti, il tono e persino le fotografie che illustravano questo tipo di articoli potrebbero essere giudicati inammissibili cento anni dopo. 

L’articolo del Prof. Dott. Vitige Tirelli si chiude a piè di pagina con un quadretto riportando la seguente massima: “Il mattutino cicchetto, il ripetuto marsalino, le frequenti bibite alcooliche, soo aperitivi che aprono le porte alla miseria ed alle malattie”.

Così stavano le cose prima che Prosecco, Lambrusco, Chianti e Barolo diventassero DOC (denominazione di origine controllata) e che l’enologia e le degustazioni diventassero un business for export.

     

Le fotografie illustrano l’articolo La lotta contro l’alcoolismo del Prof. Dott. Vitige Tirelli pubblicato sulla Rivista ATM - 1927, anno II, numero 2, 1927

Foto 3: un esempio di piè di pagina presenti su gran parte degli articoli della Rivista ATM dai quali si prendeva spunto per combattere l’alcolismo.


Fonti

Storia senza parole, Rivista ATM - 1927, anno II, numero 2.
Reminiscenze igieniche d’un tranviere, Rivista ATM, anno II numero 4-5, agosto-ottobre 1927.
La lotta contro l’alcoolismo, Prof. Dott. Vitige Tirelli, Rivista ATM - 1927, anno II, numero 2, 1927.
Il tranviere pubblico ufficiale, Federico Cornaro, rivista ATM - 1927, anno II, numero 2, 1927.
L’igiene e l’alimentazione, La Rubrica dell’Igiene, rivista ATM, anno III, numero 6, 1928.
Dizionario di Medicina Treccani, 2010, Giuseppe Ducci, alcolismo.