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I gioielli possono essere realizzati con un'ampia gamma di materiali e per la loro fattura ci si affida a materiali e pietre preziose. I gioielli, quelli veri, non subiscono alterazioni nel corso degli anni mantenendo le proprie qualità, caratteristiche, prestigio e valore. E spesso accade che man mano passano gli anni il valore di essi aumenta. Per questo motivo oggi vi proponiamo un gioiello prezioso sia in termini tranviari che letterari, linguistici e storici. Un articolo scritto da Ugo Manunta e pubblicato nel numero di giugno del 1927 della Rivista dell’Azienda Tranvie Municipali di Torino. Visto che, di fronte a tale originalità mancano le parole, lo trascriviamo tale e come è stato pubblicato…97 anni fa.

“Gli uomini, eterni schiavi di quel senso di incontentabilità che impedisce di assaporare la felicità assoluta, sono sempre pronti ad ammirare la bellezza esteriore delle occupazioni altrui, ma non sempre riescono a cogliere e ad apprezzare le condizioni vantaggiose del proprio mestiere. Eppure non v’è lavoro, sia pure umile e faticoso, che non presenti a chi lo osservi con un po’ di amore, almeno un lato interessante.

«Se nascessi un’altra volta…»: ecco la frase caratteristica di tutti gli scontenti. E’ inutile stare a sentire cosa farebbero, se potessero realizzare il miracolo di ritornare in fascie con l’esperienza di una vita già vissuta: su cento persone, novantotto almeno penserebbero certamente di iniziarsi alla facile carriera del… milionario; le altre due forse si accontenterebbero di meno,  ma in fondo il miraggio dell’umanità è oggi eminentemente pratico.

Io, invece, se potessi ritornare indietro, non avrei rimorso di regalare a qualche altro che ne avesse bisogno, tutta quella poca esperienza che ho accumulato sinora. Credo cioè che considererei già come un grande dono la possibilità di poter vivere due vite. Ma -intendiamoci- due vite completamente diverse, perché credo che sarebbe noioso raddoppiare gli anni per insistere a battere una stessa strada.

Tutto ciò può sembrare paradossale, ma non lo è, in fondo, che in parte. Supponiamo per un momento che se potessi nascere una seconda volta mi toccasse di fare il tranviere. Non è evidentemente il mestiere più ideale e lucroso di questo mondo. Eppure, credete, che non mi adatterei? Tutt’altro. Mi sentirei invece di cogliere e di apprezzare qualche lato interessante del mestiere, giacché anche questo ne ha uno, e non trascurabile.

Intendiamoci: non che mi sia accorto di avere delle speciali disposizioni per questo mestiere. Lasciatemi però pensare che esso possa confacersi con un modo di vita che io considero ideale, e debba nello stesso tempo conciliare il lavoro col desiderio innato dell’osservazione.

Anzitutto io ho la convinzione che il tranviere sia continuamente alla ribalta della vita. La sua è una passeggiata continua. A volte lungo i grandi viali alberati; a volte lungo le arterie più congestionate. Una passeggiata a percorso fisso, a due binari, ma non è per questo priva di attrattive.

Il tranviere, dalla sua piattaforma, ha sempre un occhio sul convoglio e l'altro fuori. E’ il suo mestiere: vigilare il traffico all'interno del carrozzone e l’affluenza dei passeggeri dall’esterno. Due ordini di idee per ciascun occhio, due panorami diversi per ogni pupilla.

Se io fossi destinato nella mia seconda vita a fare il tranviere, credo quindi che potrei diventare l’osservatore per eccellenza, e che finirei per dondolarmi in una beatitudine spirituale senza confronti. Vivere per la gioia degli occhi. Pensate quale felicità sia mai quella di poter fissare per otto ore al giorno gli occhi su di un quadro continuamente mutevole com’è quello della strada? Non parlo dell’incalcolabile privilegio di poter camminare stando fermi in una immobilità dondolante. Il piacere fisico è una cosa troppo miserevole in confronto delle seduzioni intellettuali.

Parlo delle sensazioni che un uomo appena appena intelligente può cogliere quanto l’assillo del lavoro non lo costringa a guardare perennemente lo stesso ordigno o la stessa materia, e principalmente di quelle che ci vengono dalla grande realtà di sentirsi vivi: gioia senza confine che vi penetra nelle vene nei giorni di sole, che vi inebria al solo guardare lo sfondo verde di una collina, che sembra fatta di nulla, ma che in fondo è l’una gioia vera della vita. La gioia di vivere; il piacere di poter vedere il solo in tutto il suo splendore, il verde in tutta la sua chiarezza, la vita in tutta la sua fluidità veloce ed in tutte le sue armonie.

Il tranviere ha tante cose cui badare. Ma è un’attenzione che si concilia con l’altra. Sulla piattaforma, che è un posto di vedetta e di comando nel contempo, segue lo svolgersi dello scambio dei passeggeri. Che sale e chi scende: parodia della vita. Che si arrampica e si preoccupa della velocità del convoglio; chi si precipita a terra con un sospiro di soddisfazione. E intanto il tranviere vigila e con la leggera carezza di un dito su di un bottone elettrico dà il segnale della partenza.

Ma non è tutto - direte-: il tranviere ha pure da distribuire i biglietti e da vigilare che nessuno eluda la sua sorveglianza. E’ vero. Ma, vedete, se io fossi tranviere, troverei questa incombenza ancora più divertente delle altre. Già non è da disprezzarsi il privilegio di poter maneggiare tante belle monete di rame, di nichelio e d’argento, poiché, checchè se ne dica, il denaro ha sempre un tatto piacevole. Ed è bello, credete, poter dare a quelle monete per le quali si verificano le più cupe tragedie, un valore niente affatto personale. Non è più denaro, ma piccoli spezzati di rame e d'argento che a muoverli nella grande borsa di cuoio hanno un tintinnare di fronde battute dal vento: piccoli segmenti di sfera che si contano e si versano, a sera, senza che vi lascino fra le dita nessun marchio d’infamia.

Sapete, poi, che la profonda palestra psicologica debba essere quella che consente di poter esaminare migliaia e migliaia di esemplari d’uomini nel gesto di pagare?

Mettersi le mani nelle tasche del panciotto per versare in altre mani il proprio denaro è sempre un gesto seccante, e lo si fa, anche quando non sembri, a malincuore. Il tranviere osserva dunque anche in questo caso tutte le sfumature della psicologia umana. Osserva, e la sua anima a volte inondata di sorriso nei meriggi primaverili, a volte velata di tristezza, nelle giornate di pioggia, se ne compiace. Davanti ai suoi occhi passa veramente la vita, in tutti i suoi molteplici aspetti e nelle sue inevitabili deformazioni.

Fuori è il quadro d’assieme; l’umanità che si accalca, inseguendo infiniti ideali: gente che si urta per andar via più veloce, gente che si apparta nei lunghi viali ombrosi e che cammina lentamente invocando dal tempo altrettanta lentezza. Gente che si insegue, che si sorride o che si guarda in cagnesco, ma che in fondo dà alla vita il ritmo del suo tempo: quello della creazione.

Dentro, esposizione di soggetti, agglomeramento dei tipi più diversi. L’operaio, il giovanotto azzimato che sta in piedi per non guastarsi la riga dei pantaloni, matrone ansimanti, ragazzine profumate come serre di primavera che ostentano la bellezza di certe gambe tirate su alla trafila, uomini d’affari che inseguono cifre dappertutto, studenti bontemponi, bimbi irrequieti e chiacchieroni… Tutta la gamma della scala sociale insomma. Tutti i tipi: dal faceto al grottesco; dall’accigliato all’incosciente; dal bonaccione al maligno.

E il tranviere sempre lì, impassibile, come un giudice; osservatore, spesso dimenticato, di tutta una umanità; termometro infallibile della psicologia collettiva.

Convenitene: egli è veramente l’uomo della vita; l’uomo che a sera, rincasando, ha sempre da raccontare ai suoi qualche scenetta succosa, o qualche quadro grottesco, forse appena intravisto in velocità. E vi par poco avere sempre qualche cosa di vero da raccontare?

Pensate che descrittori meravigliosi della vita potrebbero essere questi spettatori!”

Fonte: 
La vita del tranviere vista da chi non la vive, Ugo Manunta, Rivista ATM, anno III, numero 2, gennaio-febbraio 1928.

Didascalie:
Le immagini riportate illustrano l’articolo citato.