Lingue

Seleziona la tua lingua

Selettore lingua dropdown

Sfogliando i vecchi numeri -quasi centenari- della rivista dell’Azienda Tranviaria Municipale di Torino, si nascondono, tra ordini del giorno che impongono il saluto romano, la battaglia contro l’alcolismo e la costruzione del nuovo deposito e le case per gli operai di Borgo San Paolo, delle vere e proprie “gemme”  tanto dal punto di vista della storia tranviaria quanto da quello letterario.
Fa da esempio un articolo, firmato da Emme e pubblicato nel 1928 nel quale si descrive la scuderia nella quale sostavano i cavalli che trainavano le carrozze delle prime linee tranviarie di Torino. 
Erano i tempi delle ippoferrovie. Oppure dei tramways? O meglio tranvai? Sarebbe a dire tram o qualsivoglia termine che si decida utilizzare visto che di confusione semantica ce n’era già all’epoca. Eppure tanta!
 
Pare che in molti fossero reticenti all’utilizzo della parola tramway e quindi “cercando una versione italiana, battezzarono quellecolla poco scorrevole parola di Ippoferrovia, lasciando a questi i nomi generico di Omnibus, che già venne adottato per le altre carrozze ad uso pubblico,” sostiene Luigi Rocca nella sua cronaca del 1875. E si chiede invece “quale male vi è a chiamar coke il carbone di pietra, gaz, come usano già molti, il gas, vagoni le ampie carrozze delle ferrovie, e tramway questo nuovo mezzo di trasporto?
 
E proprio le impressioni del Rocca non sono sfuggite al nostro Emme incaricato della stesura di gran parte degli articoli della rivista ATM, l'house organ di allora. Emme si avvale proprio della descrizione lasciataci dal Rocca per offrire una visita a quello che ben potrebbe essere considerato il primo deposito tranviario di Torino. Si trovavano nelle vicinanze della Chiesa della Gran Madre di Dio, precisamente in Corso Re Umberto I. A destra della Gran Madre “accanto alla casa destinata all’alloggio del Parroco,” precisa Rocca vi erano “le costruzioni ed ogni altra cosa appartenente alla Società Anonima degli Omnibus per Torino.”
 
Secondo l’opinione del Rocca l’intero fabbricato non era nulla di che e mostrava le conseguenze di un lavoro intrapreso e compiuto ad epoche successive, carente di un disegno regolare. “Questo cronista, a leggere adesso le pagine, sembra un eterno brontolone,” ribatte a sua volta Emme, trent'anni dopo. “Nossignori –esclama con energia- rispecchiava quei tempi ai quali tornavano ostiche tutte le cose nuove e moderne”.
 
E a dirla tutta, il nostro Emme non aveva tutti i torti. A quanto si evince da qualche quotidiano del 1898 la stessa preoccupazione destata dalla comparsa dei primi tram a cavalli fu poi riproposta appena si intravide all’orizzonte la loro scomparsa. “È proprio vero che i tempi si fanno sempre più deleteri per le cose belle e che tutto quanto è nobile è destinato a sparire! Da che mondo è mondo il cavallo fu sempre giudicato un nobile animale. Buffon (1) lo ha chiamato «la più nobile conquista dell’uomo», i poeti lo chiamarono il «nobile destriero», il «nobile corsiero» e per causa del cavallo furono inventati i cavalieri, titolo, se non di blasone, di nobile distinzione e perciò anche il nobile animale deve sparire…L’asino che non è nobile, invece resta insieme con i nobili asini, che pur son tanti…”
 

Il deposito-scuderia

Dalla breve descrizione fornitaci da Luigi Rocca le scuderie dell’azienda di trasporti vantano spazi ampi e arieggiati in modo favorevole ai cavalli e contenevano non meno di duecento posti i quali apparivano occupati quasi di continuo.  Vi era inoltre una vasca di notevoli dimensioni “con getto copioso di acqua potabile” oltre ad una macchina posta in giro continuamente da due cavalli che serviva a tagliare il fieno. Questo veniva quindi posizionato nei depositi sopra le rimesse dei veicoli. Vi era anche una seconda scuderia adibita ad alloggio dei cavalli malati.
 
La Società Anonima dei Tramways di Torino, più conosciuta come “la Belga” per via della provenienza dei suoi capitali, aveva circa settanta veicoli. Nei fabbricati di Borgo Po, oltre alla scuderia, vi era un laboratorio dove si costruivano e riparavano i carrozzoni occupando fabbri, falegnami, verniciatori e maniscalchi per ferrare i cavalli. La società ne aveva allora un centinaio le persone a servizio: da 30 a 35 cocchieri, altrettanti fattorini, stallieri, operai, ecc.
 
La medesima fa ora tutto il servizio degli Omnibus per Torino e lo fa in modo assai soddisfacente, -sostiene Rocca- tanto più ove si voglia tener conto delle grandi difficoltà che ora più che mai si incontrano per trovar persone che facciano bene il proprio dovere.
 
Sull’attuale corso Moncalieri vi erano a destra delle “case modeste assai” e  “allargandosi verso un viale fiancheggiato da olmi, tra il quale e il fiume sorgono le vaste costruzioni dei fratelli Diatto per una Manifattura a vapore di carri e carrozze. E a questa si accosta la tintoria Bauquel,” aggiunge Rocca fornendo una descrizione molto precisa di come si presentava Borgo Po ai torinesi di allora.
Si trattava dell’ex stabilimento diatto sito in Corso Moncalieri al numero 10. Nel 1831, dopo l’inaugurazione della chiesa Gran Madre di Dio, Borgo Po inizia a prende la sua forma urbanistica e nel 1835 un modesto artigiano di Carmagnola, Gugliemo Diatto,  apre una bottega per la fabbricazione di ruote per carretoni in un piccolo tratto di terreno sulla sponda destra del Po, nei terreni affittati al conte Francesco Gay. Nel 1861 Guglielmo riesce ad acquistare il terreno “sito al di là del Po, in Strada Piacenza,” come indica l’atto notarile del mese di maggio. L’azienda prospera e cinque anni dopo la si trova nelle guide della città come la già consolidata come fabbrica di carrettoni. Nel 1862 vengono eseguiti degli ampliamenti dello stabilimento sotto un progetto dell’Ing. Saverio Avenati. Lo stesso Avenati a cui fu affidata la prima concessione per le linee tranviarie trainate da cavalli, la prima a Torino e in Italia.
 
Su quella storica prima corsa fatta il 29 dicembre 1871, è giunto fino ai nostri giorni una cronaca pubblicata il giorno dopo, il 30 dicembre, nell’allora Gazzetta Piemontese.:“Ieri sera in mezzo a grande concorso di cittadini si fece l’esperimento della nuova ferrovia a cavalli; la corsa riesce benissimo; ivi onta che l’omnibus fosse pienissimo e che le rotaie non fossero completamente pulite un cavallo solo trascinò l’enorme carico dalla Barriera di Nizza a Piazza Castello." Questo genere di ferrovie par destinato a prendere grande sviluppo nella nostra città; già parecchie Società avendo offerto al Municipio di assumere la costruzione di una rete completa che congiunga tutti i borghi, gli scali e mercati, e perfino la città di Moncalieri al centro della città.
 
Queste domande erano già ieri sera inscritte nell’ordine del giorno del Consiglio comunale, siccome però era urgentissimo provvedere alla votazione del bilancio, e siccome è pure sperabile che il Tramway della Barriera di Nizza il quale sarà posto in esercizi lunedì, proverà col fatto che sono infondate le apprensioni d’inconvenienti che molti ancor temono riguardo a questo genere di locomozione, si è rimandata la discussione relativa dopo il bilancio, cosicché verso il 15 gennaio questa importante pratica potrà venire definita.”
 

Tram a cavalli: la fine dell’impero

Meno di trenta anni dopo, quel tram a cavalli che aveva sollevato tanta preoccupazione tra alcuni dei consiglieri comunali, iniziava ad agonizzare provocando nostalgia e sconforto tra le persone che -forse gli stessi che decenni prima avevano guardato con sfiducia rotaie, cavalli e cocchieri- l’avevano adottato fino a trasformarlo in un tratto costitutivo della città moderna. “Essi, i nobili si, ma decaduti animali hanno una schiera formidabile di nemici che cerca di colpirli: questi nemici sono le ferrovie, le tranvie elettriche, gli automotori, le biciclette e il macellaio…” presagia nel 1898 il quotidiano La Stampa. 
 
“E quando vedete un cavallo imbizzarrito -aggiunge- pel passaggio di uno di questi veicoli non crediate che non sia paura la sua; che sia un momentaneo scatto di nervi; è invece un’istintiva segreta avversione, perché in quei veicoli il nobile destriero intuisce i suoi becchini. Anche tutto questo lavoro delle Società zootecniche pel cosiddetto miglioramento delle razze, tutti i loro studi sui «puro sangue», sugli incroci, ecc., ecc., che cosa credete che sia se non la naturale istintiva reazione contro il presentimento che il cavallo dovrà sparire?Non è vero che il cavallo dovrà rimanere per gli eserciti perché si troverà modo di sostituirlo con le biciclette, come già si tenta, e con qualche altro arnese mosso dall’elettricità, dal vapore, dal gas o da qualche altra forza adesso sconosciuta. La scomparsa del cavallo è dunque fatale: sarà questione di tempo, ma avverrà, poiché esso diventerà una bestia inutile e di queste ce ne sono già troppe a due gambe sole.”
 
Tra le maggiori preoccupazioni proposte da quest’articolo si evince la possibilità che la scomparsa del cavallo costringerebbe a cambiare anche nome all’ordine delle onorificenze: “non più cavalieri ma asinieri e buoieri e soppressa la croce come insegna, si istituirà quella del basto del giogo.”
 
Su questa base il cronista ironizza dunque sulle notizie del futuro una volta il cavallo sarà scomparso:  “Il prof. Tale dei tali è stato nominato asiniere. Mai onorificenza fu più meritata.” oppure “Il dott. Vattelapesca ha benemeritato l’ordine del bue e fu nominato buoiere. Si vuole che abbia contribuito molto a questa distinzione la consorte de lui per la di lei preziosa collaborazione. Congratulazioni!
 
Spingendosi ancora più in lá nel suo timore sul futuro dei trasporti, il cronista ipotizza che nemmeno la semantica ricorderà più i cavalli in quanto i termini cavalli-vapore e i cavalli-elettrici, cambieranno anch’essi con il tempo fino a sparire della memoria. I cavalli quindi sarebbero stati ridotti a meri scheletri conservati nei Musei. Così qualche giovinetto del futuro, dopo l’impressione di aver visto lo scheletro di quel animale estinto, già chiamato cavallo, avrebbe scritto una lettera ai propri genitori: “Ho poi veduto nel museo una delle più grandi rarità del mondo, cioè lo scheletro di un cavallo, bestia di cui si è perduta traccia. Se vedeste che bestia originale! Il cicerone che mi accompagnava pretendeva di darmi ad intendere che unicamente gli uomini si sedevano sulla groppa del cavallo e si facevano portare. Cose da fare ridere le galline poiché nello scheletro non vi è traccia di sterzo, di moltiplica, di manubrio o di un telaio qualsiasi di metallo né di pile elettriche o stantuffi di sorta. Sono così ignoranti questi ciceroni…” E la lettera sarebbe stata portata ai genitori per posta volante in quanto secondo l’autore “allora i palloni faranno il servizio postale”.
 
Specchio di un tempo che fu, in cui tornavano ostiche tutte le cose nuove o moderne come sostiene Emme? Oppure una notevole percezione di un avvenire assai certo? Comunque sia, il funesto presagio ebbe conferma in quanto negli anni venti il traffico era diventato tutt’altro che scorrevole: “grave inconveniente non poter girare per Torino a cavallo di un cavallo: però maggior inconveniente è adesso quello di non poter girare nemmeno a cavallo d’una bicicletta" ironizza Emme nel 1928. 
 
Ed ecco come la storia dei trasporti torinesi non manca di lamentele: chi non vede di buon occhio fare entrare i tram in centro alla città, chi invece teme per l’estinzione dei cavalli e chi si lamenta delle lamentele altrui. Ma come disse Luigi Rocca nella sua critica ai tram allora trainati da cavalli:  “tiriamo innanzi che inutili sono le lagnanze quando il fatto è compiuto
E il cerchio si chiuse nel mese di dicembre del 1923 quando l'ultimo cavallo (appartenuto alla “Belga” poi riscattata dall’ATM) fu venduto all'Impresa Quaglino Cesare per 3.850 Lire, all’incirca 52 anni dopo quella prima storica corsa da Piazza Castello alla barriera di Nizza.
 
(1) L’autore si riferisce all’illuminista Georges-Louis Leclerc Conte di Buffon e alla sua opera Histoire naturelle, générale et particulière composta da 36 volumi comparsi dal 1749 al 1789.
 

Fonti:

  • Luigi Rocca, Viaggio sul Tramway da Torino a Moncalieri, 1876.
  • Rivista ATM (Azienda Tranvie Municipali), La prima centrale… elettrica dei Tramways di Torino, Anno III, numero 1, Gennaio-Febbraio 1928.
  • Museo Torino, Ex Stabilimento Diatto, https://www.museotorino.it/view/s/18952c2b4d444a19b1822bb1db6c57d0Museo Torino, pianta di Torino, 1870 circa, Biblioteca Civica Centrale, Cartografico 8/10.7
  • Gazzetta Piemontese, Tramway alla Barriera di Milano, 30 dicembre 1871, pag.1 e 2.
  • La Stampa – Gazzetta Piemontese, 12 aprile 1898, rubrica La Vita che si Vive
  • Torino: reti e trasporti, a cura di Paola Sereno, Archivio Storico della Città di Torino, 2009.
  • Tram di Torino, L’ultimo cavallo, https://www.tramditorino.it/
 

Didascalie:

tutte le figure riportate illustrano l’articolo La prima centrale… elettrica dei Tramways di Torino, pubblicato sulla Rivista ATM (Azienda Tranvie Municipali),  Anno III, numero 1, Gennaio-Febbraio 1928.
 
Picture1  Picture2
 
Picture3  Picture4