Il fischio del rimorchio
Gli inconvenienti ai quali le tranviere di Torino dovettero abituarsi furono tanti e molto variegati. Alcuni di essi persino divertenti. Vi fu un alterco a bordo di un tram nel quale una tranviera fu colpita con una bottiglia alla testa da parte di un passeggero andato in escandescenza. Da molto tempo giungevano alla redazione dei giornali diversi reclami dei cittadini contro gli acuti…sibili usati dai tranvieri e tranviere nelle vetture rimorchio. Si trattava di un fischietto portatile che veniva utilizzato dal personale adibito ai rimorchi per indicare la partenza ai manovratori. Persino una Commissione di medici specialisti si era costituita a Milano e aveva analizzato la situazione ed enumerato i danni che il fischio può produrre nei timpani dei passeggeri. Suggerivano inoltre la sostituzione del fischio con l’adozione di una speciale trombetta. A Torino invece, l’inconveniente persisteva e il lamento giungeva persino dagli operai delle fabbriche i quali, pure essendo avvezzi ai rumori dell’officina, non riuscivano a tollerare il rumore del fischietto delrimorchio il quale pare fosse particolarmente sibilante se il fischio usciva dalle labbra femminili. Ecco quanto scriveva un gruppo di operai della Fiat San Giorgio in una lettera pubblicata dal quotidiano La Stampa: «La preghiamo di voler pubblicare una viva protesta da parte di molti cittadini per far cessare oppure moderare gli acuti trilli che certe tramviere lanciano negli orecchi dei passeggeri. Se qualcuno osa pregarle di sporgersi fuori, oppure di non spolmonarsi a fischiare, si è mortificati dalla risposta». Sembra che uno di questi passeggeri osò richiamare l’attenzione della fattorina e questa rispose «Fischio quanto mi pare e piace!». E allora dalle parole si arriva ai fatti e cosí si è andati a finire con uno schiaffo e un calcio per il passeggero e una bottiglia in testa per la tranviera.
Certo che il torto non era sempre delle donne. Anche le fattorine del tram, queste brave donnette che si sobbarcavano al pesante lavoro che sembrava riservato solo agli uomini, erano spesso vittima di reati perpetrati proprio sul posto di lavoro. Come accadde alla fattorina Lina Barberis una sera del 1916, mentre era in servizio. Essendo vicina ad una vettura tramviaria, Lina si senti a frugare una tasca da una mano che non era la sua. Se ne accorse subito che le era stato sottratto il portafoglio che conteneva quattro lire. Riconobbe l’autore del furto fra la folla e lo rimproverò con tale durezza che il ladro -pur di scampare all’imbarazzo di vedersi scoperto- gli restituì il portafoglio. Alcune persone che presenziavano la scena, vedendo passare un soldato, lo chiamarono e gli raccontarono l’accaduto. Adamo Piccinini, venditore ambulante che vantava ben diciotto condanne, dovette rispondere davanti al tribunale per il suo diciannovesimo reato e fu condannato a un anno di reclusioneEpisodi del genere facevano parte della quotidianità di queste donne che spesso si recavano, oppure scrivevano alla redazione dei giornali per renderli noti. Maria Ferraris, fattorina dell’Azienda Municipale, che aveva perso sul posto di lavoro il portamonete che conteneva 30 lire insieme al suo orologio, si rivolse a un noto quotidiano torinese per chiedere a chi li avesse trovati di farli recapitare agli uffici dell’azienda. Rischi del mestiere a parte, sembra che il lavoro nelle società tranviarie durante la Prima Guerra abbia anche contribuito a quello che era il massimo traguardo delle donne di un tempo: il matrimonio. Così, tra un vasto numero di pubblicazioni di matrimonio di medici, meccanici, sarte e operai vi è anche quello di Giovanni Bocca che nel maggio del 1918 prese per moglie Luigia Melano, anche lei di professione tranviera.
L’Ospedale Maggiore
Nell’oggi Museo Regionale di Scienze Naturali (in via Cavour, 31) tra ritratti, busti e statue che tuttora adornano l’atrio e le scale, furono curate e assistite un numero importante di donne che lavoravano in entrambe le società tranviarie della città. Infatti, l’Ospedale Maggiore di San Giovanni Battista fu un luogo altamente frequentato dalle lavoratrici tranviarie. Non mancavano di certo gli incidenti sul lavoro come accadde a Maria Rosetti, fattorina tranviaria di 28 anni che girando il trolley del tram in piazza Vittorio Emanuele fu colpita al naso dalla rotella dell’asta caduta accidentalmente. Maria fu subito portata al San Giovanni ricevendo una prognosi di qualche settimana. Vi erano però, anche altre tipologia di incidenti con protagoniste le tramviere torinesi di indole molto più curiosa. La fattorina Adelina Broca, ad esempio, che nel 1918 abitava in corso Valentino al numero 33, dovette essere ricoverata all’Ospedale Maggiore per ferite lacero contuse alla testa riportate durante una rissa con altre donne. L’episodio non ebbe particolari ripercussioni per Adelina, che aveva all’epoca 32 anni, in quanto le sue ferite, una volta medicate dal Dott. Volante, furono giudicate guaribili in otto giorni. E’ invece il caso della tranviera Luisa Costamagna, di Cherasco, che presenta una sfumatura alquanto particolare. Di solito sono le mogli tradite dai mariti che si vendicano della rivale, ma la vita ha molte stravaganze, e questa volta fu proprio il caso inverso. Fra la tranviera Luisa Costamagna e la signora Luigia Vigna -di Orbassano- esisteva una vecchia ruggine, per il fatto che la tranviera accusava l’altra donna di averle insidiata la pace coniugale, rubandole il marito. Quindi la Vigna non potendo più tollerare le accuse di essere l’amante del marito della Costamagna, andò a cercare la tranviera nella sua casa. Le due donne ebbero un acceso diverbio durante il quale la Vigna aggredì Costamagna con un coltello. La colpì ripetutamente procurandole diverse ferite da taglio alla testa, alla spalla sinistra, al petto e alle braccia in una lotta che fu tanto breve quanto violenta e sanguinosa. Alle grida della tranviera aggredita, accorsero i vicini che chiamarono gli agenti della Squadra Mobile. La signora Vigna fu tratta in arresto e condotta al carcere giudiziario. In quanto alla tranviera Luisa Costamagna, fu subito trasportata all’Ospedale Maggiore dove fu giudicata guaribile in una quindicina di giorni.
Via Cavour, davanti alla vecchia sede del Regio Politecnico, attuale Valdo Fusi. L’edificio chiaro in fondo è l’Ospedale San Giovanni Vecchio (foto Archivio privato Antonio Accattatis)
Tramviera accusata di omicidio
Nel 1919 gli animi dei torinesi furono scossi da una serie di ritrovamenti senza precedenti. Si trattava particolarmente di alcuni involti fatti con sacchi da cemento e gettati nella Dora -dal Ponte della strada di Circonvallazione- e nel canale della Pellerina. All’interno dei sacchi vi erano i resti del povero signor Pietro Trossi. Non essendoci nessun inidizio o movente che facesse chiarezza sull’accaduto, le autorità procedevano a tentoni in cerca della via buona per riuscire a svelare il mistero dell’assassinio. Una delle ipotesi era quella legata a un’atroce vendetta provocata da una regolare relazione d’amore. Il quadro pareva indicare che il Trossi, nonostante la sua età matura, «si compiacesse sovente di qualche avventura extra-coniugale». Perciò le autorità temevano che fosse stato sorpreso e avesse «pagato con la vita il capriccio di un’ora». In quel caso l’assassinio non sarebbe stato premeditato, ma occasionale ed il colpevole avrebbe poi squartato il cadevere per occulatare il delitto. Supportava questa idea il fatto che tra le carte di Pietro Tozzi erano stati trovati diversi indirizzi di donne tra cui quello di una fattorina tranviaria che fu subito rintracciata dalla polizia e portata in commissariato. Notevolmente spaventata la fattorina raccontò che un giorno, sulla tramvia fece conoscenza del Trossi, il quale si mostrò con lei molto galante e finì per richiederla del suo indirizzo. La tranviera, non seppe resistere alle insistenze del Trossi e gli fornì il proprio nome ed indirizzo di casa. Dopo di che non lo rivide più. La fattorina, dopo la sua deposizione fu rimessa in libertà, un po’ commossa e soprattutto impaurita.
Un pensiero per Felice e per Caterina
Fare la tranviera comportava un lavoro gravoso: ben dodici ore di lavoro quasi tutte passate in piedi a dondolare e ondeggiare delle andirivieni del rimorchio per non parlare dei passeggeri incauti e spesso maleducati oltre al fatto di sfidare quotidianamente i diversi rischi di un mestiere alquanto pericoloso. Tuttavia, tutto ciò viene ridotto a zero se si pensa al più straziante rischio che i tranvieri devono abbordare: quello di perdere la vita oppure -forse peggio ancora- di stroncarne una. Toccò a due donne, una manovratrice e una fattorina fare i conti con tragedie di questo tipo. La manovratrice Crosta guidava la motrice della società Belga in un sereno pomeriggio d’estate quando in corso Ponte Mosca, Felice Penazzi di soli quattro anni, attraversò la strada con la spensieratezza tipica della sua età. Proprio la stessa strada che percorreva il tram della società Belga guidato dalla Crosta. La manovratrice arrestò la motrice di botto nel vedere Felice, ma lui era già stato travolto dalle ruote anteriori del tram e morì istantaneamente quel pomeriggio di giugno del 1918.
Corso Ponte Mosca, sulla sinistra la stazione della Torino-Lanzo, sulla destra la chiesa di San Gioachino (foto Archivio storico Gtt)
Un anno e mezzo prima di quel fatidico giorno, il 15 gennaio del 1917, Caterina Ottino aveva da poco iniziato la sua giornata di lavoro. Era addetta alla vettura motrice della linea 5 - Barriera San Paolo, linea appartenuta alla Società Elettricità Alta Italia e prelevata dall’Azienda Tranvie Municipali (ATM) nell’ottobre del 1907. Caterina aveva 25 anni, era mamma di un piccolo figlio e suo marito era al fronte. Il tram percorreva il corso Vittorio Emanuele, dove fino a qualche decennio prima si trovava la vecchia Piazza d’Armi, quella costruita nel 1817 nei terreni appartenuta alla Cittadella. La stessa piazza dove nel marzo del 1900 si disputò il primo derby, quella che serviva a giovani e adulti per giocare al «giuoco del pallone palla, un giuoco tanto valevole per isviluppare le forze fisiche e la destrezza della persona». Quello spazio che sopravvisse fino agli anni venti del Novecento e dove vi è eretto, all’angolo di corso Galileo Ferraris, il monumento a Vittorio Emanuele II inaugurato nel 1899 tra solenni festeggiamenti e dopo una travagliata vicenda. Proprio lì, di fronte a quel monumento, Caterina notò un giovane ragazzo che, aggrappato sul predellino, costituiva un pericolo per se stesso e impediva ai passeggeri la salita e la discesa del tram. Si sporse della vettura per richiamarlo e nel farlo, perse l’equilibrio e precipitò a terra. Caterina rimase con le due gambe schiacciate dal rimorchio, erano circa le sette di sera. Due soldati, Magneti e Giani, la adagiarono su una carrozza e la trasportarono d’urgenza all’Ospedale San Giovanni. Le gambe erano state quasi troncate e aveva perso sangue in abbondanza, il dottor Jachia nel vedere il quadro generale della fattorina non ebbe nessun dubbio: bisognava amputare. Caterina passò la notte in ospedale con la vita appesa a un filo. Il caso suscitò la pietà dei colleghi e molti di essi fecero visita all’ospedale insieme ai parenti della fattorina. Altrettanto fecero le autorità ma, dato il suo stato, Caterina non poté essere interrogata. Caterina Ottino, fattorina dell’Azienda Tranvie Municipale, moriva in ospedale dopo l’incidente: la mattina del 16 gennaio 1917. Oltre alla commiserazione della comunità tranviaria vi fu quella della stampa locale; nel giorno della sua morte i quotidiani protestarono: «alla monelleria troppo abituale di ragazzacci scriteriati sovente causa di guai a se stessi ed agli altri dovrebbero provvedere le guardie municipali e il buon senso dei cittadini. Ieri sera l’Ottino era stata lasciata sola contro l’ostinatezza provocante d’un ragazzo, sino a che non sufficientemente in forze, perdette l’equilibrio e precipitò al suolo».
Alcune vedute dell'incrocio fra corso Vittorio Emanuele II e corso Galileo Ferraris negli anni Venti (foto Archivio storico Gtt)
Verso la fine del percorso
Quelle tranviere che avevano causato tanto stupore e scandalo, paragonabile a quello creato dal primo tram a cavalli che percorse le strade del centro di Torino, occupavano già un ruolo consolidato nella società torinese del 1918. Intanto, i venti di guerra iniziavano a dissiparsi e avanzavano quelli del fascismo: «Ad iniziativa del Fascio nazionale femminile è sorto a Roma, in piazza San Marco, un punto di ristoro per le tranviere. L’inaugurazione ha avuto luogo stamane. Sono intervenuti il presidente del Consiglio on. Orlando, l’on. Galienga, la signora Orlando, il direttore della Banca Commerciale, le signore del Fascio nazionale femminile con la loro presidentessa baronessa Bianc e la altre Autorità». La notizia è riportata dal quotidiano torinese La Stampa del giorno 11 giugno del 1918 e dà conto della presenza del Presidente del Consiglio, On. Vittorio Emanuele Orlando che ebbe «espressioni elevate per esaltare la virtù delle donne italiane ed ha detto che la sua presenza nei locali destinati ad accogliere le tramviere, sta a significare quanto il Governo apprezzi l’opera della donna». A seguito del discorso di ringraziamento pronunciato dalla tranviera Sabatini, il Presidente del Consiglio fece la proposta di offrire a ciascuna lavoratrice un buono stato da 25 lire; e come prima offerta l’On. Orlando consegnò alla presidenza del Fascio 199 buoni da costituire il primo nucleo della raccolta. In effetti l’avvenire si presentava ancora incerto per le tranviere italiane in generale. Si attendeva da un momento all’altro la fine della guerra e gli italiani accarezzavano l’illusione che tutto sarebbe tornato al punto dove si era interrotto. Difficile però -se non impossibile- far tornare il passato: la guerra aveva modificato l’ordine delle cose introducendo un drastico mutamento delle dinamiche, nello specifico, quelle relative al lavoro: «Una delle più formidabili questioni per dopoguerra sarà quella delle paghe industriali per le donne.» Inizia cosí l’articolo riportato da un giornale torinese nel mese di agosto del 1918 riflettendo sul recente sciopero delle tranviere a Londra e sulla conferenza che sarebbe stata tenuta nella capitale inglese quella stessa sera. Le conduttrici di omnibus e tram di Londra sostenevano di avere il diritto di ricevere l’identico salario dei colleghi maschi di fronte a una identica prestazione. Le società tranviarie si erano negate e le conduttrici, sostenute dai colleghi maschi, avevano organizzato uno sciopero. «Gran parte dei servizi di locomozione stradale nella metropoli sono quindi sospesi ed il movimento tende ad allargarsi». Intanto a Torino, col finire della Grande Guerra si aprì il dibattito sulla questione del personale femminile. I sindacati avevano preso l’impegno di tutelare le lavoratrici femminili, quindi la loro permanenza sui posti di lavoro che avevano occupato fino a quel momento. Ma il fatto che avessero pari diritti al personale maschile era una cosa che ancora era vista con obiezione da parte di molti. E furono questi ultimi a vincere la battaglia. Le tramviere di Torino, quelle donne-fattorino protagoniste del primo esperimento, furono licenziate nell’estate del 1919. Di loro si parlò ancora una volta, nel mese di novembre del 1920.«Un gruppo di ex-fattorine tramviarie ci scrive per deplorare che ancora non siano state loro pagate le competenze ad esse spettanti ed in conto delle quali avevano ricevuto un anticipo di lire 4 mensili. La liquidazione finale non è ancora avvenuta, quantunque siano trascorsi ben 15 mesi dal licenziamento. Le ex-tramviere protestano vivamente contro questa ingiustificata trascuranza e ricordano che, quando gli uomini erano al fronte esse dovevano provvedere alla famiglia, e si sobbarcarono al gravoso lavoro con sole lire 3,25 al giorno. Ora chiedono che le somme loro dovute vengano pagate senza altri indugi e perciò si sono rivolte -inutilmente, scrivono- alle Autorità che finora non hanno provveduto. Perciò rivolgono pubblica istanza perché le Amministrazioni tramviarie procedano alla corresponsione delle competenze arretrate loro dovute».
Nel 1920, quelle stesse donne che una volta vendevano biglietti a bordo dei rimorchi e che guidavano le motrici, che partecipavano ad assemblee sindacali e manifestazioni popolari; continuarono a salire sui tram di Torino come fantasmi che si aggirano in quella casa che una volta fu la loro. Fantasmi nella veste di passeggere.
Fonti
- Il primo esperimento delle donne tranviere, La Stampa, 17 maggio 1916
- Le donne tranviere, La Stampa, 22 maggio 1916
- Le donne conducenti dei tramway, La Stampa, 29 maggio 1916
- Le “spazzine”, La Stampa, 4 luglio 1916
- Un ordine del giorno delle tranviere, La Stampa, 27 luglio 1916
- Lo sciopero dei tranvieri dell’Azienda Municipale, La Stampa, 23 agosto 1916
- Il borsaiuolo delle fattorine tramviarie, La Stampa, 14 gennaio 1917
- Una tranviera sotto una vettura rimorchio, La Stampa, 5 gennaio 1917
- La morte della tranviera caduta sotto una vettura, Ultime di Cronaca, La Stampa, 6 gennaio 1917
- Il portamonete della fattorina, La Stampa, 8 aprile 1917
- Un inconveniente tranviario, La Stampa, 15 giugno 1917
- Una scena contro una tranviera: un arresto, La Stampa, 31 luglio 1917
- Pubblicazioni di matrimonio, La Stampa, 5 maggio 1918
- Tramviera accoltellata da una donna, La Stampa, 22 maggio 1918
- L’on. Orlando inaugura un posto di ristoro per le tranviere, La Stampa, 11 giugno 1918
- Bimbo schiacciato dal tram, La Stampa, 15 giugno 1918
- All’Ospedale, La Stampa, 18 luglio 1918
- Il processo per i fatti d’agosto, La Stampa, 18 e 19 luglio 1918
- M.P., Sciopero delle Tramviere a Londra, La Stampa, 20 agosto 1918
- All’Ospedale, La Stampa, 6 dicembre 1918
- La caccia allo squartatore, La Stampa, 13 aprile 1919
- I funerali di Trossi, La Stampa, 13 aprile 1919
- Movimentata assemblea di postelegrafonici – La dibattuta questione del personale femminile, La Stampa, 4 luglio 1920
- Le competenze arretrate alle ex-tramviere, La Stampa, 17 novembre 1920
- Museo Torino www.museotorino.it
- Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna: La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l'avvento del fascismo, Feltrinelli, Milano 1996.
- Chiara Devoti, Gli Spazi dei militari e l’urbanistica della città: 1815-1918