Le donne e il tram
di Marcela Luque
Una miscela tra madre, figlia e moglie senza trascurare le mansioni di chef e colf familiare. Questo fu il primo ruolo della donna sui tram all’inizio... un ruolo silenzioso, ma continuo che sin dalla fredda sera del 29 dicembre 1871, in cui un tram a cavalli fece la sua prima corsa per le vie di Torino, si sarebbe sviluppato e ridimensionato fino a raggiungere traguardi, all’epoca, difficili da immaginare.
Visti gli orari prolungati dei lavoratori tranviari sin dall’inizio dei servizi tranviari la società Torinese mise a disposizione un servizio assai particolare e paragonabile alle “mense” di oggi: le vivandiere. Si trattava di carrozze che partivano dal deposito diretti a Porta Palazzo, all’epoca di De Amicis punto d’incontro di 5 delle 7 linee della società. Queste carrozze trasportavano i canestri per il pranzo dei dipendenti, pranzo che era procurato dalle donne di casa: madri, figlie o sorelle. Così mentre per gli scapoli se ne occupava la Cucina Economica della Società Torinese, i più fortunati potevano godersi un bel pranzo o una bella colazione fatta in casa dalle donne della famiglia. Esse si recavano al deposito prima che partisse la vivandiera per lasciare i canestri con le pietanze per i propri congiunti che, al primo incrocio, sarebbero recapitati al fattorino (come veniva chiamato spesso il bigliettaio) o conducente in questione. Tuttavia e per ragioni di comodità le donne di casa potevano anche portare i cestini ad un punto di incontro per darlo in mano al marito, padre o fretello appena il tram ragiungesse la fermata.
Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale le donne continuarono a salire sui tram questa volta però senza un cestino in mano. Come in tanti altri settori industriali anche in quello del trasporto pubblico, venendo a mancare gli uomini che erano al fronte, le donne furono chiamate come manodopera di riserva per ricoprire i ruoli tranviari fino a quel momento legati esclusivamente al mondo maschile. Così le donne passarono da portatrici dei sapori di casa a ostentatrici del ruolo di testimonial del conflitto bellico, situazione questa che suscitò molti interrogativi e non poche critiche nell’opinione pubblica di allora. D’altronde la reazione dei colleghi maschi non fu delle più consenzienti.
Un piccolo esercito di 434 tranviere lavorava nei trasporti pubblici di Roma nel 1918: erano 304 fattorine e 109 conducenti, il resto erano operaie e cantoniere. Indossavano un cappello e uno spolverino d' ordinanza.
Milano invece aveva iniziato a discutere se accettare donne o no già nel 1916. La Lega dei Tranvieri però si mostrò subito contraria allegando che in uno stato di anarchia come quello del trasporto pubblico tranviario senza fermate fisse e con vetture stracariche nelle ore di punta, le donne non si sarebbero mai adattate a sgomitare tra la folla. Firenze in quel periodo aveva già adottato la manodopera femminile sul tram. “E’ un ambientaccio il tramvai per la donna: corrompe fisicamente e se la donna è modesta, timida ed educata finisce con lo stancarsi dell’ambiente. Se invece è vivace, ardita e spavalda non nè fa in quell’ambiente una bella figura,” sosteneva un tranviere fiorentino sul quotidiano Avanti. Così si scatenò un via vai di articoli sui quotidiani dell’epoca che mitigarono le orrende notizie del fronte tra i mesi di marzo e quello di giungo di 1916.
Il Sindacato Italiano dei Tranvieri sosteneva che la donna avesse bisogno di emanciparsi e quindi doveva poter fare la tranviera se era questo che voleva. Tuttavia molti tranvieri uomini si chiedevano cosa avrebbe fatto una donna se si fosse trovata davanti -come spesso accadeva- dei teppisti armati da coltelli.
Curiosamente queste discussioni incentrate sul nuovo ruolo della donna erano però guidate, sostenute e incoraggiate da uomini finché fu una tranviera fiorentina a dare la propria opinione sostenendo che era meglio essere tranviera con tutti i problemi che quello comportasse e che una buona organizzazione poteva ben risolvere i problemi piuttosto che fare altre tipologie di lavoro ritenute molto più umili, quale la serva in case dei ricchi dove si mangiavano gli avanzi di tutti gli altri in un angolo della cucina. Inoltre sosteneva che fare la tranviera era meglio che essere sottomessa ad un marito ubriacone che le copriva di improperi e riteneva che questa opinione dei colleghi era mossa più dall’egoismo maschile che dalla preoccupazione per la interesse materiale e morale della donna.
Fu in effetti questo intervento, fatto da una donna, a fermare le obiezioni all’ingresso delle donne nel mondo tranviario. Rimaneva però la questioni del salario che per i lavoratori tranviari era cruciale. All’epoca il salario dei tranvieri era in media di L 3,40 al giorno. Tuttavia quello che era considerato una miseria anche per i disoccupati, per la donna era uno stipendio da non rinegare perciò le domande di assunzione iniziarono ad arrivare numerose. Durante i primi tempi le donne guadagnavano un salario inferiore a quello degli uomini ed erano escluse dei turni serali che erano coperti dal personale anziano maschile esentato di andare in guerra. Ma andando avanti nel tempo l’accordo non fu più praticabile in quanto il personale anziano maschile non era abbastanza per coprire i turni serali. Le donne furono quindi integrate al servizio tranviario con lo stesso regime degli uomini: sia per i turni che per lo stipendio.
Per l’assunsione del personale femminile le diverse società tranviarie privelegiarono mogli e parenti di quei tranvieri chiamati alle armi così che esse non potessero poi avere delle pretese sulla conservazione del posto di lavoro alla fine del conflitto e fornendo allo stesso tempo un sussidio a quelle famiglie.
Lavorare sui tram non era per tutte le donne un mestiere molto gradito e per quanto possa sembrare che le donne avessero vinto la battaglia, purtroppo nella quotidianeità la guerra sembrava continuare: era a loro costantemente ribadita la temporaneità del lavoro e quindi molte donne preferivano fare le operaie in quanto si trattava di un lavoro che offriva loro più continuità. Inoltre il lavoro sui tram comportava passare lunghe ore in piedi e affrontare dei rischi non da poco. Vi fu il caso di una tranviera romana che nel 1918 fu insultata da un passeggero. Lei lo inseguì dopo che lui fosse sceso dal tram e le sparò per essere subito dopo arrestata.
Molti cittadini erano altresì preoccupati che il tram diventasse luogo di appuntamenti amorosi che potevano turbare la pace di tante famiglie, come il caso della donna che fu accompagnata a casa da un collega e la portinaia lo cacciò via dicendo che intrattenersi con la signorina dopo l’orario di lavoro era proibito.
Durante la Grande Guerra, Torino assunse le donne solo con la qualifica di bigliettaie. Appena finito il conflitto bellico, le donne furono tutte licenziate tra il 1919 ed il 1920 e dovettero aspettare una seconda guerra per poter tornare sui tram come lavoratrici.
Nel 1943 lavoravano 523 donne nei servizi tranviari di Roma dotate da una giacca, gonna, cappello e cappotto blu. Le prime donne erano state assunte nel 1940 e furono licenciate dopo due mesi su disposizione del Centro Nazionale di Mobilitazione Civile. Furono poi riassunte per essere licenziate di nuovo alla fine del conflitto risparmiando solo quelle che non avessero una fonte di sostentamento cioè un padre o un marito. A queste donne dopo esserle state tolte le mansioni di conducente e fattorina, le furono assegnate quelle di pulitrice.
A Torino le donne presero servizio il 10 giugno di 1940 e vi fu un unico gruppo di 19 bigliettaie, senza altri mezzi di sussistenza che riuscì a lavorare fino al 1948. Insieme a quello di portalettere il ruolo di donna bigliettaia fu uno dei simboli del lavoro femminile nella Torino della Seconda Guerra. Oltre l'indennità di licenziamento venne loro riconosciuta una somma pari a due mensilità.
Settanta anni dopo, nel 2018 lavoravano in GTT ben 723 donne, circa il 16% della forza lavora dell’azienda di trasporti di Torino delle quali il 9% (195 donne) svolge le mansioni di conducenti di linea.
Didascalie
Foto copertina: Roma, 30 giugno 1940. Fattorine in posa per una foto di gruppo. Foto archivio storico fotografico ATAC s.p.a.
Foto 2: Via Labicana, Roma, 1915. Motrice ambulanza del Comune adibita al trasporto dei feriti con vettura passeggeri a rimorchio durante la Prima Guerra Mondiale.Foto archivio storico fotografico ATAC s.p.a.
Foto 3: Roma, 1940. Prova della divisa da fattorina. Foto archivio storico fotografico ATAC s.p.a.
Foto 4: Roma, 17 giugno 1940. Allieve fattorine all'interno di un tram.Foto archivio storico fotografico ATAC s.p.a.
Foto 5: Torino, convoglio su linea 3 con personale femminile, Prima Guerra Mondiale. Foto archivio GTT - ATTS
Foto 6: Torino, donna bigliettaia a bordo di un tram della linea 3, anni '40. Foto archivio GTT - ATTS
Le foto di Roma sono gentilezza dell'Archivio Storico Fotografico di ATAC S.p.A. che ringraziamo per la concessione della pubblicazione.
Fonti
Operaie e socialismo: Milano, le leghe femminili, la Camera del lavoro (1891-1918), Fiorella Imprenti, Franco Angeli Editore, 2018
Tempo di guerra, arrivano le donne a fare le bigliettaie sui tram e le portalettere, Torino Top News, 2018
Quando i tram erano guidati dalle donne, La Repubblica, 2001
Tranviere romane nelle due guerre, Archivi dell’Atac, 2018